Attraversa tutta l’Italia del nord, dal Monviso all’Adriatico, con i suoi 652 chilometri. Per noi il Po è il fiume più lungo e nel suo tragitto cambia più volte aspetto, dai monti alla pianura padana.
Non passa esattamente dai luoghi in cui vivo, non troppo lontani dalle sorgenti, ma gli sono legata da origini familiari.
Negli anni cinquanta tanti veneti lasciarono le loro case per trasferirsi in Piemonte alla ricerca di un lavoro, ma soprattutto per sfuggire alle inondazioni. Così fece la mia mamma, e con lei molti altri. Ci si dava una mano, tra amici o parenti, soprattutto a trovare casa e lavoro.
Sento il richiamo di quei luoghi, anche se sono molto affezionata alle Alpi Biellesi. E il breve viaggio nel Delta, che ancora non avevo esplorato, mi ha arricchita di intense emozioni.
Alla fine del suo lungo viaggio, il grande fiume è un anziano signore, calmo e paziente. Ne ha di cose da raccontare! Non ha fretta di tuffarsi nel mare, sa che cosa l’aspetta. E si perde quindi nei meandri, costruisce isole di sabbia, ospita canneti e uccelli di passo, accontenta gli irriducibili pescatori.
Al tramonto si tinge di colori accesi come a salutare il giorno, consapevole che le sue acque ne vedranno molti altri, ma diversi, mescolate come saranno a quelle salate del mare.
E permette ai ponti di barche di attraversarlo, ai natanti dei pescatori di percorrerlo. Noi siamo su uno di questi. Si gettano le reti, e poco dopo si raccolgono. Per me, non abituata a questa esperienza, è doloroso vedere i pesci boccheggiare. Vorrei rimetterli tutti in mare. Qualcuno si salva, altri vengono tenuti. Per i pescatori è lavoro o divertimento. Non riesco a trattenere le lacrime.
Il viaggio prosegue nel labirinto dei canneti, dove ci si perderebbe senza la guida esperta di un profondo conoscitore del fiume. Qui si rifugiano uccelli di palude e di passo: ibis, aironi, anatre e tanti altri.
Si incrociano barche di turisti e di pescatori. Si intravede qualche capanno per il birdwatching o per la caccia, qualche edificio dismesso. Si è avvolti da un silenzio carico di presenze, interrotto a tratti dal volo repentino di un uccello spaventato dal nostro arrivo.
Si entra nella Sacca di Scardovari, e sono ampi orizzonti. Il cielo nuvoloso si riflette sulle acque tingendole di grigio. Ancora silenzio. Ma poco oltre c’è il mare, con le sue onde e il loro frastuono.
Qui le spiagge sono selvagge, tra canneti e poca sabbia, con tanti tronchi lavorati dall’acqua e dalla salsedine portati a riva dalla risacca, giunti da chissà dove.
Ma ci sono tavoli, panche e tettoie che ci ospitano per un aperitivo. Che buono il vino delle sabbie!
Il paese è un grumo di poche case. Penso alla solitudine delle giornate invernali, tra buio, vento e nebbia. Ma ci si rifugia nelle dimore, in famiglia.
Percorro lentamente il sentiero sull’argine, nel silenzio. Nulla si muove qui. Quando ritorno sui miei passi, le luci dell’unico bar fanno da richiamo.
Ci sono pescatori e contadini che si ritrovano, ogni sera, per due chiacchiere e una partita a carte. Solo uomini, certo, le donne stanno a casa. Abitano lì attorno, o appena dopo il ponte di barche.
Mi rendo conto che ogni partita li tiene desti più di un programma televisivo. Nulla sfugge ai loro occhi attenti. Memorizzano le carte che sono state giocate, indovinano quelle che sono in mano agli avversari. Non sarei in grado di fare una partita, ma le carte venete le conosco. Da bambina in casa vedevo i miei giocare a scopa, a briscola o a tresette: denari, coppe, spade, bastoni, il settebello e gli ori…
Ma è gente che ha voglia di parlare, basta una domanda e racconta di come il granchio blu ha distrutto gli allevamenti di vongole e ha mangiato tutti i pesci. Millecinquecento pescatori hanno perso il lavoro, ancora non si è trovato un rimedio.
Terra povera il Delta. Non sono lontane nel tempo le guerre combattute in queste zone. Morti, razzie, distruzioni… Ricordo i racconti dei miei che parlavano di bombardamenti, rastrellamenti, coprifuoco, fame. Si potrà mai dimenticare?
Poi c’è stata la ricostruzione e finalmente un nuovo sviluppo con l’itticoltura e l’ittiturismo, ma ancora, purtroppo, i recenti disagi.
Eppure resta una terra dal fascino unico, che alle bellezze naturalistiche unisce i capolavori architettonici e le prelibatezze della cucina.
Ci si può fermare almeno una settimana ed esplorare tutto il territorio che da Taglio di Po, Porto Viro, Adria arriva fino a Chioggia e a Venezia verso nord, a Pomposa, Comacchio e Ravenna verso sud.
Senza dimenticare i rami del Delta, le sacche e gli isolotti.
Note:
Un sentito ringraziamento a Gian Luca Massarenti per la preziosa guida e la passione che ha condiviso con noi.
Un altro grazie a Rosita che ci ha ospitati nell’Ostello di Gorino Sullam.
Spero di rivedervi presto!