Bastano pochi giorni perché una notizia, per quanto devastante, lasci le prime pagine dei notiziari e dei quotidiani. Ma quando i riflettori si spengono e cala il silenzio, la realtà continua a manifestare tutta la sua drammaticità.
Passato il primo momento, quando gli eventi ci travolgono e reagiamo con coraggio e paura, con l’adrenalina che ci tiene attivi, ecco che ci guardiamo attorno e cogliamo tutta la desolazione. Perché sì, l’acqua è defluita, tutta o in parte, qualcosa si è riusciti a ripristinare, ma le case in cui si svolgeva la nostra vita sono vuote di tutto quello che faceva parte dei nostri gesti quotidiani, che accompagnava le nostre consuetudini: i mobili della cucina, il divano dei relax, il portatile con i suoi documenti, i libri e tutto il resto giace là fuori, inzuppato di acqua e fango, ammucchiato lungo la strada in attesa di essere portato via.
E che vada bene e non si debbano piangere persone che amiamo, animali a noi cari, o l’attività che ci permetteva di sostenerci.
“Tin bota”, così si dice nel dialetto romagnolo. Altro non si può fare: ci si rimboccano le maniche e si pulisce, si recupera. E si mette una toppa sul cuore perché non faccia troppo male. Si può contare sull’aiuto di tanta gente accorsa ad aiutare, molti giovani. La solidarietà degli italiani si sente sempre.
Non metto qui foto del disastro, anche se sarebbe facile reperirle, per una sorta di pudore, di rispetto. Troppe cose personali verrebbero esposte. Mi piace ricordare momenti belli passati qui, perché ritorneranno. Anche il mare dopo la tempesta si calma, le onde tornano ad accarezzare la riva, l’acqua ci restituisce riflessi di luce. Abbiamo bisogno di nuove speranze e di serenità, di coraggio per andare avanti.