Non è facile da trovare, nei nostri boschi, questa piccola felce amante dei luoghi umidi. Deve il suo nome, capelvenere, in latino Adiantum capillus Veneris, ai sottilissimi steli scuri, quasi neri, che assomigliano appunto a lunghi capelli. Ogni fronda è formata da tante piccole foglioline a forma di ventaglietti che si muovono quasi in una danza ad ogni leggero alito di vento.
Il capelvenere cresce spontaneo nei luoghi molto umidi, in riva ai piccoli corsi d’acqua, alle cascatelle rei ruscelli. Non ama la luce diretta del sole. Con il freddo dell’inverno, le sue foglie seccano per ricomparire in primavera.
Come tutte le felci, non produce fiori e quindi né frutti, né semi. Si moltiplica attraverso le spore che si trovano nella pagina inferiore delle foglie, all’interno di minuscole capsule dette sporangi.
È difficile coltivarlo negli appartamenti, dove d’inverno l’aria è troppo secca per via del riscaldamento. Occorre sistemarlo in un luogo in cui non riceve direttamente i raggi del sole, possibilmente vicino ad altre piante che creino un microclima adatto. Meglio nebulizzare spesso le foglioline, che essendo piccole e sottili non riescono a trattenere molta umidità e tendono a seccarsi. Avrà bisogno di essere innaffiato costantemente, ma evitando ristagni d’acqua che potrebbero far marcire le radici.
Le sue foglie vengono anche utilizzate per le loro proprietà, ad esempio nelle tisane per calmare la tosse, insieme ad altre erbe, ma è meglio verificare una sua possibile blanda tossicità.
La forma dei suoi steli l’hanno fatto utilizzare fin da tempi lontani per la cura dei capelli. In effetti, ho utilizzato sciampi e balsami al capelvenere.
Una curiosità: nel linguaggio dei fiori e delle piante, il capelvenere rappresenta la modestia, infatti è poco appariscente, ed anche il segreto, proprio perché cresce spesso nelle grotte umide, ben nascosto.