Entrare in un orto significa per me fare un tuffo nel passato, nei miei ricordi di bambina. Forse perché sono ormai anni che non ne coltivo uno mio, ma ancor di più perché ho il ricordo dell’orto che coltivava mio padre. Un tempo l’orto era importantissimo per l’economia familiare: nella bella stagione si disponeva di ortaggi freschi, per l’inverno c’erano a disposizione le patate e le verdure conservate sotto vetro, in salamoia o sott’olio (non c’erano ancora i freezer!)
Si cominciava in primavera con i piselli, le fave, le taccole, e poi via con le insalate, le zucchine e i fagiolini. Poi veniva il tempo dei pomodori, delle melanzane, dei peperoni. Non c’era molta varietà, certi ortaggi come i broccoli, il cavolo nero e i finocchi non venivano coltivati, un po’ perché non erano comuni, un po’ perché richiedono un clima più caldo e allora le estati erano meno calde e più piovose.
Verso la fine dell’estate si raccoglievano le patate che si conservavano a lungo nelle cantine, insieme ad aglio e cipolle. A mano a mano che maturavano, si raccoglievano i fagioli; quelli che non venivano consumati venivano fatti essiccare per i minestroni invernali.
In autunno e d’inverno si raccoglievano le verze e le cicorie da mangiare cotte.
Le erbe aromatiche, in genere salvia e rosmarino, erano disponibili tutto l’anno.
Nelle fredde sere invernali era sempre gradita una minestra fatta con quello che c’era, un po’ di riso, delle patate, qualche foglia di ortaggio e di erbe aromatiche.
Per me, andare nell’orto con papà era sempre un’occasione per fare nuove scoperte. Non succedeva spesso, l’orto era staccato dalla casa e lui d’estate ci andava di solito al mattino prestissimo, quando io ancora dormivo, prima che facesse troppo caldo. Nelle altre stagioni andavo a scuola.
Ma ricordo di aver assaggiato piselli dolcissimi appena colti, fragoline profumate e pomodori succosi, caldi di sole.
C’era un mondo di vita in quel piccolo regno: le libellule che si posavano sul dito se lo tenevi alzato con un po’ di pazienza e si facevano catturare per poi essere subito liberate. E i bruchi di tanti colori, i lombrichi, le farfalle e le chiocciole.
Ricordo di aver seguito tante volte la marcia delle formiche, tutte in fila una dietro l’altra, sempre indaffarate a trasportare qualcosa fino al formicaio costruito con tanta cura; ne avevo scoperchiato uno, senza volerlo, sollevando una pietra ed avevo visto le uova, bianche, piccolissime che le formiche si sono precipitate a mettere in salvo. Quanta cooperazione, quante forme di vita!
Sarà per questo che ancora amo la natura, perché ho imparato a conoscerne qualche aspetto fin da piccola e poi, crescendo, ho sempre cercato di approfondire.
Ed ho imparato anche che ogni cosa matura a suo tempo, ci vuole pazienza.
Oggi, con le serre e con le importazioni mangiamo le fragole a Natale e le arance ad agosto. Ma qualcosa, forse, così non va.
Grazie alla mia amica – sorella che coltiva l’orto con tanta passione e che ogni tanto mi rende partecipe dei suoi successi!
Grazie alla mia amica -sorella che dipinge con le parole, tra passato e presente, ravviva i ricordi e trasforma in poesia la vita di tutti i giorni.
Grazie Susi, faccio del mio meglio per riuscirci!