Un’interessante mostra a Pollone presenta le opere di Franceschino Barbera, ovvero Sandrun, ovvero Franceschino dell’Elvo, pseudonimo quest’ultimo con cui l’artista ha firmato molti suoi lavori. L’esposizione raccoglie una quantità significativa di opere, oltre 170, che oltre a rappresentare un record in termini quantitativi rispetto a precedenti esposizioni ha anche il pregio di fornire ai visitatori un quadro esaustivo della produzione di uno degli artisti più significativi, se non il più significativo, del mondo artistico biellese nella seconda metà del secolo appena trascorso.
Se si chiede infatti ad un biellese. magari non ad un giovanissimo, di citare il nome di un artista contemporaneo, probabilmente il primo nome è proprio: “al Sandrun”.
Che poi lo si conosca veramente a fondo è tutto un altro discorso: molto spesso l’Artista viene, a torto, associato ad una figura di personaggio scomodo, polemico, quasi un clochard, frequentatore di fumose locande in cui scambiare i propri disegni a carboncino realizzati seduta stante con un piatto di minestra ed un bicchiere (o anche due) di vino.
Che la sua vita, la sua breve vita, sia stata travagliata è cosa nota ma è doveroso riconoscere in Sandrun un artista dotato di un talento naturale e di una sensibilità artistica unici e, contemporaneamente, un uomo affamato di cultura, ricercata magari in modo poco strutturato ma ricercata eccome!
Assetato di conoscenze ma anche personaggio ironico e disincantato.
Chissà se credeva veramente nei suoi esperimenti di idraulica in cui sfidava la forza di gravità e chissà quale soddisfazione nel fare ritrovare falsi reperti lungo il Torrente Cervo per dare la possibilità ad esperti di pontificare (le false teste di Modigliani ritrovate nell’Arno sono di datazione ben più recente!).
Tornando alla mostra si coglie la sensibilità di un artista che vuole omaggiare soprattutto gli umili.
Nella sua produzione passa quasi in sordina la sua pur cospicua produzione di ritratti e di sculture richiesti da una facoltosa committenza biellese che voleva farsi immortalare da questo artista “alla moda”.
Oggi a suscitare interesse sono i personaggi che il Sandrun ha voluto fermare sulla carta o plasmare nella creta per la loro umanità: i suoi compagni di osteria, i veri clochard, le persone umili che gli sono state vicine e verso le quali ha sicuramente provato affetto, magari a modo suo, condividendo momenti di vita, magari di vita grama, ma di vita vera e vissuta intensamente.
Ecco allora il Fatin, dallo sguardo arguto e pieno di saggezza contadina, che Sandrun definisce “suo maestro”: riprodotto in più pose, tutte legate alla sua vita di margaro ai piedi del Monte Mucrone.
Ecco il “Tregiache”, mite vagabondo che indossa tutto il suo misero guardaroba e poi ancora i vari Beniamino, Priaco, il più delle volte poco sobri, barcollanti, seduti o sdraiati, immersi nella loro solitudine rassegnata.
E poi, per contro, le varie raffigurazioni del Volto della Sindone, o la nostra splendida “Madonna del Piumìn” in cui traspare quella religiosità che accompagnò la vita di un uomo che amava invece atteggiarsi in vesti di tutt’altra natura.
Di lui, infatti, abbiamo molti intensi autoritratti con lo sguardo profondo ed accigliato, la barba incolta, i capelli scompigliati, l’espressione diabolica.
Agli occhi di chi, come molti, già conosce la vasta produzione di questo Artista la mostra rappresenta un ripasso ed un approfondimento: si scoprono dettagli sui quali non ci si era forse soffermati a sufficienza in passato e ci si concentra su opere che raramente sono state poste a disposizione del pubblico; una per tutte il Grande Volto della Sindone che dalla Basilica Superiore di Oropa è scesa a Pollone per impreziosire la già ricca collezione.
Ma agli occhi di chi, per molteplici ragioni, non si è mai accostato ai lavori di questo Artista cosa dice questa mostra?
Parla di un artista la cui capacità espressiva e la cui sensibilità rimangono immutate nel tempo, i sentimenti di tristezza, di angoscia o addirittura di disperazione che trapelano dalle sue opere sono purtroppo di estrema attualità.
Le tragiche immagini che narrano della terribile alluvione che devastò le valli biellesi non sono forse tragicamente attuali?
I suoi paesaggi potrebbero essere stati dipinti oggi. Realizzati su fogli di carta, a carboncino, grafite o pennarello rigorosamente nero, di getto, immediati eppure profondi ci ricordano un po’ i disegni di Van Gogh per il tratto e per gli elementi. Nuvole tempestose, campi tormentati, neri corvi che volano bassi.
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Non è stata fortunata questa mostra, come del resto tante altre in questo anno difficile.
Aperta obbligatoriamente senza inaugurazione il 24 ottobre, è stata chiusa dopo pochi giorni per decreto ministeriale. Ma tanto lavoro, tanto impegno, tanta ricerca da parte del curatore Gian Mario Tha, dei suoi collaboratori e dalla Pro Loco di Pollone non sono stati vani. Contiamo su una sua possibile riapertura, magari nella prossima primavera.
Un sentito ringraziamento ad Alberto Colombatto per i testi e le immagini
Breve biografia
Nacque nel 1927 e morì nel 1970, a soli 43 anni, uno dei grandi del panorama artistico biellese.
Nato fuori dal matrimonio, fu affidato alla nonna paterna e poi ad enti di carità. Trovò un po’ di serenità lavorando nell’alpeggio di quel Fatin che definì “suo maestro” e che raffigurò e scolpì in diversi momenti.
Frequentò con profitto le scuole, partecipò alla lotta partigiana.
Manifestò presto spiccate capacità artistiche, facendosi conoscere come una sorta di “genio maledetto”, geniale appunto ma dalla vita al di fuori delle convenzioni.
Soffrì purtroppo di problemi artritici e ai polmoni. Morì accasciandosi a terra in una via centrale di Biella.
Bibliografia