Resterà aperta fino al 17 marzo la mostra allestita presso la Galleria Sabauda. Van Dyck, pittore di corte, fin dall’adolescenza manifestò un particolare talento artistico. A sedici anni ad Anversa aveva già una sua bottega. Fu allievo di Rubens che riconobbe in lui il migliore dei suoi allievi.
Forse fu lo stesso Rubens che, preoccupato che la sua abilità potesse superarlo, lo spinse a fare un viaggio in Italia, fornendogli varie referenze. E probabilmente lo stesso Rubens lo spronò a dedicarsi al ritratto, aspetto all’epoca meno considerato della pittura.
Van Dyck era di famiglia borghese e nelle cronache del tempo fu definito buono, gentile, onesto, piccolo di statura ma di bell’aspetto, signorile nei modi e nel vestire. Qualità che traspaiono anche dal suo autoritratto in mostra.
Arrivò quindi in Italia per studiare i grandi maestri che amava.
Si possono vedere in mostra le riproduzioni del suo “taccuino italiano” un quaderno di 121 fogli conservato nel British Museum di Londra in cui tra il 1621 e il 1627 copiò, studiò, schizzò particolari delle opere che ebbe la possibilità di osservare, in particolare degli artisti veneti, soprattutto Tiziano che ammirò infinitamente.
Nel suo viaggio in Italia venne ospitato nelle più grandi corti dell’epoca; fu a Genova, a Firenze, a Roma, a Venezia. Viste le referenze di Rubens e il gran numero di opere che aveva già prodotto, gli vennero affidati subito diversi incarichi.
Una sezione della mostra viene dedicata a Genova, definita allora “Il paradiso delle donne”. Non lo sapevo e devo dire che mi ha molto interessata scoprirlo. All’epoca in città c’era grande fermento e sviluppo. Qui le donne, pur escluse dalla politica, godevano di un’importanza decisamente superiore a quanto succedeva in altri luoghi. Si era compresa la necessità di portare avanti gli affari anche durante l’assenza del capofamiglia, per impegni lontani o anche per malattia e le donne si fecero carico di ciò, rivelando grandi abilità.
Si fecero fare molti ritratti, belle, vestite con abiti sfarzosi, con i figli o da sole. Le pose fiere, gli sguardi sicuri rendono l’idea della loro importanza.
Rubens si impegnò anche nella realizzazione di cento ritratti di persone. Egli fornì disegni e pitture a specialisti fiamminghi che li incisero e stamparono. Si tratta di personaggi noti e non noti, artisti, committenti, donne dell’alta società, amici e parenti. Egli sapeva cogliere la fisionomia e l’anima delle persone che ritraeva, e riuscì a creare una preziosa documentazione del modo di vivere e dei costumi del Seicento, un’enciclopedia in bianco e nero del suo mondo.
Splendido il ritratto che fece dei tre figli del re Carlo I d’Inghilterra, su incarico della madre Enrichetta Maria. Ne venne fuori un’opera davvero spontanea, ma che non piacque al Re perché il principino ereditario, che accarezzava dolcemente la testa del suo cane, era ritratto in abiti ancora da bambino, mentre avrebbe dovuto indossare una tenuta più adatta al suo ruolo. Inoltre la principessa Maria era stata piuttosto agitata e non aveva voluto star ferma a posare, mentre la piccola di soli due anni era stata molto attenta. Il pittore dovette quindi rifare l’opera per accontentare il sovrano.
Sono stata turbata da uno degli ultimi dipinti realizzati dall’artista: raffigura il matrimonio tra la principessa Maria, qui sopra al centro, con Guglielmo principe di Orange: si sposarono il 12 maggio 1641 (l’anno della morte del pittore), quando la bimba aveva solo nove anni, il marito quindici! Purtroppo, all’epoca si davano in sposa anche le bambine, per interessi di famiglia.
Van Dyck fu abilissimo nel dipingere tessuti e merletti, rese perfettamente gli incarnati dei visi, le espressioni e il carattere dei personaggi.
Potrebbe sembrare un’arte superflua, ma così non è. Occorre sottolineare che a quell’epoca non c’erano altri modi per raffigurare i personaggi, per tramandare immagini. Con lo sviluppo delle Signorie, fin dal Rinascimento si sviluppò quindi quest’arte. Il committente voleva essere ritratto nel migliore dei modi, riccamente vestito, con un’espressione fiera e sicura. Era importante farsi ricordare ed ammirare, stupire e far emergere la propria forza e personalità. L’opulenza dei vestiti doveva far trapelare la solidità del governo. Il pittore di corte assunse quindi una grande importanza e veniva trattato con rispetto.
Ovviamente, solo i ricchi, il clero, gli aristocratici, i sovrani, i comandanti militari potevano permettersi un ritratto ed avere quindi maggiore importanza ed esclusività.
Proprio questo fu van Dyck: uno straordinario ritrattista, abilissimo interprete e testimone della sua epoca, colui che “in vita diede immortalità a molti”.
Morì a soli quarantadue anni, mentre voleva sviluppare ulteriormente la sua pittura, cercando importanti committenze in Francia e in Spagna.