Ospitato in un’antica casa di fine settecento, restaurata ad inizio ottocento, in una frazione di Mezzana Mortigliengo, questo interessante museo ci permette di comprendere la vita di chi ci abitò in quel lontano periodo. La frazione era raggiungibile solo a piedi, non c’era acqua corrente né elettricità.
Al piano terreno della casa museo sono conservati i macchinari che erano necessari per produrre l’olio di noci, ai tempi usato come condimento, combustibile e medicinale; ne veniva fatto anche commercio. Le noci venivano sgusciate con santa pazienza nelle lunghe sere invernali, nella stalla situata sempre al pian terreno, dove le mucche donavano il calore necessario.
I gherigli venivano pressati nella macina, scaldati in una pentola in ghisa e spremuti nel torchio. La produzione continuò fino a poco dopo la fine della seconda guerra mondiale; adesso alcuni agriturismi ne hanno ripreso la produzione, per fortuna visto che il sapore è eccellente e ne bastano poche gocce per insaporire una pasta o un’insalata; si vende anche il “nusuggiu”, cioè quello che rimane delle noci spremute, utilizzato per confezionare le torte.
Dopo il portico davanti all’entrata, il primo locale che si può visitare è la stalla, in cui venivano ricoverate una mucca ed una capra per avere sempre il latte fresco, ma si riparavano anche gli attrezzi agricoli e soprattutto era luogo di ritrovo familiare, dove si spaccavano le noci, si lavorava a maglia, si raccontavano le fiabe ai bambini e ci si riscaldava col calore degli animali, alla tenue luce di un piccolo lume.
Un altro ambiente interessante è la cantina, dove veniva conservato il poco vino prodotto, destinato solo al consumo familiare, ma anche altri prodotti, come la carne o le uova, immerse nella calce, e i salami sotto grasso.
I contenitori di terracotta utilizzati provengono quasi tutti da Ronco Biellese.
E’ stata ricostruita anche una falegnameria, con tutti gli attrezzi che venivano utilizzati all’epoca, provenienti però da un’altra casa.
La cucina è uno dei locali più invitanti, con il camino, la piattaia, il putagé, (la stufa a legna usata per cucinare) e, sul tavolo, il quaderno, l’astuccio di legno e il pallottoliere usati dai bambini per andare a scuola.
L’alimentazione era molto semplice; la polenta veniva consumata tutti i giorni, come pure la minestra di castagne nelle sere d’inverno.
In cucina si trova un piccolo lampadario con lampadina: l’energia elettrica arrivò qui nel 1918.
Ed ecco la camera da letto, col letto, l’altarino, l’immagine della Madonna d’Oropa, le acquasantiere, il baule col corredo. Il letto, a una piazza e mezza, aveva un materasso riempito con le foglie di meliga o di castagno, le lenzuola tessute col telaio e il copriletto anch’esso fatto a mano. Accanto c’era la culla per i neonati. Tra gli elementi più caratteristici, ci sono il “pitale” dove si facevano i bisogni di notte, il “monaco” di legno nel quale venivano sistemati mattoni scaldati sulla stufa per riscaldare il letto e la “buiotta” di metallo, che invece veniva riempita d’acqua bollente; erano attrezzi utili perché nella camera non c’era il riscaldamento, ne saliva solo un po’ dai tubi della stufa posta nella cucina al piano inferiore.
Sono stati ricreati anche altri due locali per la filatura e la tessitura della canapa, coltivata in zona. Si facevano due raccolti: ad agosto e a settembre; i fusti erbacei venivano lasciati macerare in acqua e si traevano le fibre che poi venivano tessute col telaio.
Infine nel sottotetto, insieme ad una raccolta molto interessante di strumenti utilizzati nel lavoro quotidiano nei campi e nei boschi, si trova il graticcio sul quale venivano poste a seccare le castagne, grazie al fumo che usciva dal camino della stufa della cucina. Le castagne venivano spesso girate con un lungo rastrello in modo che seccassero in modo regolare. Si conservavano poi in una madia chiusa a chiave perché nessuno potesse mangiarle di nascosto: dovevano infatti bastare per tutto l’inverno! Molti sono gli attrezzi per la lavorazione delle castagne e del legno di castagno, che era considerato, come puoi leggere in questo articolo (Il castagno, “l’arbo”), l’albero per eccellenza, utilizzato in tutte le sue parti.
L’ultimo locale è quello in cui si produceva il vino di mele, dal sapore dolce e fruttato, e l’aceto di mele, chiaro e delicato, molto ricercato ai tempi come condimento, conservante, disinfettante, deodorante.
Poco distante, in un altro edificio, è stata ricostruita l’Osteria del grappolo d’uva, luogo in cui gli uomini erano soliti ritrovarsi la domenica per bere, giocare a carte, discutere dei problemi della comunità. Oggi è sede anche di mostre temporanee.
Il museo resta chiuso d’inverno, riapre in primavera, come tante altre cellule di quell’Ecomuseo del Biellese che non possono essere riscaldate. Ma è bello progettare una visita nella nuova stagione, per famiglie o scolaresche. Le visite sono fattibili grazie ad un’associazione di volontari e ad esperte guide naturalistiche che accompagnano anche alla scoperta del territorio circostante.
Noi ci siamo stati in primavera e la visita è stata davvero interessante e piacevole, unita ad una bella passeggiata nel bosco che ci ha permesso di conoscere tante piante, tra cui, indispensabile per l’economia dell’epoca, il castagno.
Per maggiori info, consulta il sito https://ecomuseomezzanam.blogspot.com/
Una piacevole ricostruzione della vita di altri tempi la si può trovare dall’8 dicembre a Mosso S. Maria, ne scrivo qui: “Il presepe gigante di Marchetto“