Si intitola “Tra il grano e il cielo” la mostra su Van Gogh ospitata nella Basilica Palladiana a Vicenza fino all’8 aprile 2018.Van Gogh ha sempre per me un forte richiamo e anche se ho già visitato diverse mostre a lui dedicate, non mi sono persa neppure questa. Ci sono arrivata quando volge quasi alla fine; il maltempo mi ha fatto rimandare diverse volte, del resto un viaggio piuttosto lungo con previsioni di nevicate o piogge torrenziali era sconsigliabile.
Le opere esposte sono molte e ripercorrono la sua espressione artistica fin dagli inizi, nel 1880, quando Vincent, già ventisettenne, seguì la vocazione di dedicarsi alla pittura e lo fece in modo passionale, assoluto. Cominciò da autodidatta, leggendo i suggerimenti di un corso di pittura e copiando molte volte diverse opere di altri autori. Fu colpito in modo particolare dalle opere di Millet.
Di questo periodo sono esposti diversi disegni a matita, con ritocchi di carboncino, pastello bianco, acquerello nero. I soggetti sono persone che incontrava abitualmente, raffigurate nello svolgimento delle loro mansioni quotidiane: lo zappatore, donna che pela patate, donna che allatta il bambino, donna che cuce con un gatto vicino, donna che legge davanti al focolare… Sono le figure a dominare il foglio, con pochi cenni all’ambiente circostante. Più avanti seguirà il consiglio del fratello Theo di inserire elementi paesaggistici per creare opere più apprezzabili dal pubblico e comincerà a dipingere paesaggi con i mulini, i salici, le capanne in cui vivevano. Scrisse: “ Se si dipinge un salice come un essere vivente, cosa che dopotutto è, tutto il resto viene con facilità. Basta concentrare tutta l’attenzione su quell’unico albero finché si riesce a infondergli la vita.”
I suoi personaggi hanno espressioni tristi, rassegnate; i loro sguardi sono persi nel vuoto, le labbra sono piegate all’ingiù. Non viene nascosta la povertà, visibile nei semplici abiti, nelle mani nodose abituate al duro lavoro, nei pochi cenni all’ambiente di vita. Nemmeno la terra dona serenità: sembrano avere lo stesso stato d’animo la terra e le persone, impegnati tutti nella lotta per la sopravvivenza. Le dita contorte e nodose assomigliano ai rami e alle radici degli alberi spogli.
Quando rappresenta attività come il tessitore, sceglie telai antichi, anche se in quel periodo ce n’erano di più moderni, per celebrare la manualità. Anche dai paesaggi cittadini, quando li inserisce, toglie elementi di modernità.
I suoi mangiatori di patate, le donne con le tipiche cuffie bianche e i vestiti di un particolare blu che fa risaltare il colore della pelle, sono uniti in un’intensa atmosfera di comunione.
Leggo che ad un certo punto il parroco del paese gli sconsigliò di avere contatti con i contadini e pare che pagasse gli stessi perchè non posassero più per lui, così ebbe molte difficoltà a trovare persone che posassero per lui (!!!)
Successivamente Van Gogh si trasferisce nel sud della Francia, ad Arles e la sua pittura cambia notevolmente. Non può restare indifferente ai colori caldi della Provenza! Le sfumature cangianti del Mediterraneo lo affascinano, così come i cieli intensi, gli alberi e i cespugli e in generale la gaiezza provenzale, con le donne vestite di vestiti svolazzanti, con gli ombrellini colorati . Nelle sue lettere a Theo racconta dell’importanza di stare nel sud dove impara ad “esagerare” con il colore.
In quel periodo dipinse il ponte di Langlois, scelto per il manifesto della mostra: i colori sono brillanti, c’è una grande limpidezza dell’atmosfera.
La sua produzione è feconda; a fine maggio del 1888 lascia Arles per un viaggio di cinque giorni fino a S. Marie de la Mer e torna con cinque tele e nove disegni!
Tra febbraio ‘88 e maggio ‘89 riesce a produrre 200 dipinti e oltre cento disegni; pochi però erano a conoscenza del suo immenso lavoro.
Tra vari spostamenti e problemi di salute di cui non si conosce bene la natura, scelse di farsi ricoverare in un ospedale per malattie psichiche a Saint Rémy. Qui ebbe la possibilità di avere una stanzetta in cui dipingeva. Gli venne anche dato il permesso di uscire a dipingere nei dintorni.
Le opere degli ultimi anni di vita sono tra le più note. Poi la fine, a soli trentasette anni, in un caldo pomeriggio di fine luglio. Si ritiene sia stato un suicidio, dettato forse da una delle sue gravi crisi di panico o di depressione.
Un grande artista, non compreso al suo tempo, famosissimo ai giorni nostri. Dipinse fino all’ultimo giorno e noi lo immaginiamo ancora con il cavalletto sulle spalle e la cassetta dei colori in mano mentre cammina nei campi di grano, mentre percorre i sentieri tra il canto delle cicale e il soffio del vento….
La mostra prosegue fino all’8 aprile 2018 nella Basilica Palladiana di Vicenza.
Curatore della mostra è Marco Goldin.
Alla fine del percorso si può assistere alla proiezione del film che ripercorre la vita dell’artista, diretto dallo stesso curatore.
Per ulteriori informazioni e approfondimenti:
http://www.lineadombra.it
(In mostra non è permesso scattare foto; le immagini sono tratte dal sito)
“Anch’io mi sento talvolta molto debole, quando lavoro sulle dune o altrove: non mangio certo a sazietà. Le mie scarpe sono tutte rattoppate, usate all’estremo; tutto ciò e altre piccole miserie mi producono molte rughe. Infine, tutto questo sarebbe nulla, Théo, se potessi aggrapparmi all’idea che andrà comunque tutto bene, a condizione di perseverare.” Vincent a Théo, estate 1883.
Nel gennaio 2019 è uecito il film “Sulla soglia dell’eternità”, vedi l’articolo.